martedì 31 luglio 2012

Il caso Chico Forti torna alla ribalta su Twitter

E dopo il successo del tweetstorming di ieri, due nuovi articoli in cui si parla di Chico Forti e della sua storia:

Su GQItalia.it: http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2012/luglio/chi-e-chico-forti
Su Wake Up News: http://www.wakeupnews.eu/il-caso-chico-forti-torna-alla-ribalta-su-twitter-il-web-vuole-giustizia

Cronistoria di un tweetstorming estemporaneo ma efficace!

Sulla scia del tweetstorming dello scorso 26 luglio i sostenitori, un pò delusi per il mancato risultato nonostante le centinaia di tweet di quel giorno, hanno deciso di fare una piccola prova per studiare i meccanismi di Twitter e magari cercare di ottenere risultati non raggiunti nell'intervento precedente.

Così ieri, 30 luglio, dopo una brevissima coordinazione sulla pagina ufficiale di Chico Forti "Chico Forti: un innocente condannatoall'ergastolo" avvenuta dai sostenitori disponibili al momento, è stato lanciato l'hashtag #giustiziaè coordinata all'aggiunta all'interno della frase, del nome Chico Forti.

I sostenitori hanno iniziato a twittare alle 14.30 circa e alle 15.04 il nome di Chico Forti era già  entrato nei Trendings Topics di Twitter al 6° posto.

Per chi non fosse esperto, i Trending Topics sono gli argomenti popolari del momento ovvero le parole che vengono scritte più spesso dagli utenti nei loro Tweets; i Trending Topics sono pubblici e vengono letti dai milioni di utenti su Twitter ed è per questo che è importantissimo poter arrivare nella classifica; con questo meccanismo milioni di persone sono incuriosite e si possono informare cliccando sul nome stesso e leggendo i tweets ad esso connessi.

Una volta constatata l'entrata nei Trending Topics (che chiameremo d'ora in poi TT per praticità) l'euforia e la gioia sono state immense, molti altri utenti hanno twittato il nome di Chico Forti che solo dopo pochi minuti, alle ore 15.16 era balzato al 4° posto. Alle 15.38 Chico Forti era ancora al 4° posto nei TT ma a quel punto la grande sorpresa: anche l'hashtag #giustiziaè entra nei TT e già all'8° posto e la situazione si mantiene così fino alle 15.46.
Successivamente #giustiziaè scende nei TT ma Chico Forti resta in classifica fino alle 16.30, rimanendo al 5° posto fino alle 17.00! Un grande, grandissimo traguardo, considerato che il tweetstorming era stato organizzato in pochi minuti e con un esiguo numero di sostenitori!
Certo, non sarà un singolo tweetstorming a smuovere l'intera opinione pubblica ma la speranza è che molti che non conoscevano la storia di Chico Forti, leggendo il suo nome, abbiano avuto poi la curiosità di informarsi meglio su tutta la sua assurda vicenda..






venerdì 27 luglio 2012

Il Ministro Giulio Terzi: Chico Forti è per me priorità

E' di pochi minuti fa un nuovo tweet del Ministro degli esteri Giulio Terzi in cui ribadisce la priorità e l'impegno suo e della Farnesina nel sostenere concretamente la causa di Chico Forti.
Aspettiamo fiduciosi notizie che possano confortare ulteriormente la famiglia e i sostenitori di Chico Forti i quali stanno aumentando di giorno in giorno e di settimana in settimana non solo su Facebook ma anche su Twitter.

mercoledì 25 luglio 2012

Twitter si mobilita ancora per Chico Forti, un nuovo Tweetstorming il 26 luglio dalle ore 13.30

Domani, giovedì 26 luglio dalle ore 13.30, Twitter si mobiliterà di nuovo per far conoscere l'assurda storia di Chico Forti a chi ancora non ne è a conoscenza .
Con l'aiuto dei ragazzi di Azioni di Massa () tutti i sostenitori e tutti coloro che vorranno aggiungersi, scriveranno nei tweet l'hashtag #ChicoForti.
Qua sotto potete trovare qualche piccola info sull'evento; ulteriori istruzioni potrete trovarle anche sulla pagina di Azioni di Massa su facebook: https://www.facebook.com/groups/295405760511769/permalink/418431198209224/
L'obiettivo naturalmente sarà quello di riuscire a far entrare il nome di Chico Forti nelle tendenze così che molte più persone possano venire a conoscenza della sua storia.

Queste alcune frasi che potrete usare nei vistri tweet, nel caso in cui foste un pò a corto di idee:

Sosteniamo #ChicoForti
#ChicoForti chiede un giusto processo
#ChicoForti free
#ChicoForti chiede solo un giusto processo
#ChicoForti una storia di ingiustizia che dura da 12 anni
Non restiamo indifferenti, facciamo conoscere la storia di #ChicoForti www.chicoforti.com
Divulghiamo questa assurda storia #ChicoForti chicofortifree.blogspot.it

Questi solo alcuni semplici esempi ma potete divulgare anche link riguardanti articoli o interviste a lui dedicati e i vari collegamenti li trovate tutti nella pagina di Rassegna Stampa del blog: http://chicofortifree.blogspot.it/p/rassegna-stampa.html


lunedì 23 luglio 2012

Dall'Italia fino a Miami per Chico Forti

Giovanna Ecco qua, questo è il disegno dei miei bambini per il nostro Chico.....con TUTTO IL CUORE !!! Ciao Campione ! ♥..soprattutto Beatrice che ha 11 anni mi chiede sempre se ci sono novità. Figurati che alla sera è lei che va subito in FB e si collega al gruppo di Chico per me......forza Chico non mollareeeeee!!!!! è proprio vero che i bambini vedono le cose che li circondano con il cuore...Beatrice soprattutto mi chiede sempre "ma mamma, se è innocente e il Giudice si è sbagliato, perchè succede?perchè ci vuole così tanto tempo ancora? Anche lui deve tornare a fare il papà e basta, altrimenti crescono troppo i suoi bambini e non fa in tempo....dopo diventa nonno e non può più farlo il papà!!! ". Hai capito la piccola???


 Marta Mi ha emozionata ♥ ... una catena umana che attraversa l'oceano... Chico ne sara' felice, lui ama disegnare ed e' bravissimo. Purtroppo ora non gli consentono di farlo piu', ma quando uscira' ci disegnera' un arcobaleno lungo quanto la circonferenza del mondo... ♥

 Alberto  Un bacione a Beatrice: ha avuto una bellissima idea a realizzare questo disegno! Quando ho fondato il  gruppo pensavo proprio a questo: creare una catena di solidarietà che attraversasse l'oceano per arrivare fino a Chico. Lei l'ha messo sulla carta con un intuito ed una sensibilità eccezionale!

 

domenica 22 luglio 2012

Red Ronnie per Chico Forti

Da alcuni mesi, Twitter è diventato uno dei mezzi più diretti ed efficaci per dare voce a Chico Forti e per far conoscere la sua assurda vicenda all'opinione pubblica.
Uno dei primi giornalisti che si è interessato al caso è stato Red Ronnie che, col grande entusiasmo che da sempre lo contraddistingue, si è fatto portavoce della causa diffondendo la storia di Chico Forti non solo su Twitter ma dedicando ad essa approfondimenti ed interviste sul suo nuovo canale televisivo RoxyBarTv, a molti di coloro che si occupano diretamente del caso, come la Dottoressa Roberta Bruzzone e Roberto Fodde, amico di Chico Forti o lo stesso zio di Chico, il signor Gianni Forti. Questi sono tutti gli speciali e le interviste dedicati a caso Chico Forti:

Le Leonesse per Chico Forti; intervista al TG5

Al TG5 di questa sera, un nuovo servizio sul caso di Chico Forti con la bella e importante testimonianza di Karmen e Marta che da tempo sostengono la causa di Chico.

Questi sono due estratti del servizio che potrete vedere cliccando su questo link: http://www.video.mediaset.it/video/tg5/servizio/312733/leonesse-per-chico-forti.html

Karmen: «Noi speriamo nell'esito migliore in assoluto che è il processo; un nuovo processo. Anche perché è quello che desidera Chico Forti: poter raccontare la sua verità, poterne uscire a testa alta, perché è innocente.»
Marta: «C'è un limite all'indifferenza. Essendo io un'italiana residente all'estero, ho avuto questa chiara percezione della totale assenza dello Stato italiano e questo silenzio da parte dello Stato italiano nella storia di Chico Forti è assordante.»

giovedì 19 luglio 2012

Chico Forti, un nuovo appello sul Tg5



Lettera aperta alle Autorità

Grazie all'interessamento del sen. Marco Perduca, che ha promosso l'incontro, mercoledì 30 maggio 2012 la famiglia di Enrico “Chico” Forti, rappresentata dagli zii Gianni e Wilma, è stata ricevuta al Ministero degli Esteri dal Ministro Plenipotenziario Francesco Saverio Nisio, Direttore Centrale per i Servizi agli Italiani all’Estero.

La famiglia era accompagnata dal giudice prof. Ferdinando Imposimato (avvocato italiano di Chico Forti) e dalla dott.ssa Roberta Bruzzone, redattrice di un report dove si evidenziano tutte le gravi anomalie che hanno impedito a Enrico Forti di dimostrare la sua innocenza e privato del suo diritto ad avere un giusto processo negli Usa.

Il sen. Perduca ha introdotto le motivazioni dell'incontro, spiegando le ragioni che hanno indotto la famiglia di Enrico Forti a chiedere l'aiuto delle istituzioni diplomatiche italiane competenti dopo un lunghissimo e inutile percorso legale in Florida, che ha visto irrimediabilmente precluso ogni tentativo di ottenere la revisione del processo, al termine del quale Chico è stato condannato all'ergastolo senza sconti.

Il prof. Imposimato ha fatto un'ampia disamina del caso facendo rilevare tutte le procedure sbagliate, i vizi procedurali e le evidenti violazioni del patto internazionale sui diritti civili e politici relativi al caso di Chico, prima, durante e dopo il processo.

La dott.ssa Bruzzone ha ampiamente sviscerato la questione, illustrando i punti controversi del caso, le prove indiziarie e circostanziali inesistenti, oltre alle nuove prove a discarico emerse dallo studio degli atti del processo, contenute in modo preciso e circostanziato nel suo report che si intendeva presentare ufficialmente.

Il Ministro Nisio, dopo aver ascoltato molto attentamente tutte le ragioni esposte, ha detto gentilmente, ma molto chiaramente, che il Ministero degli Esteri è tecnicamente impossibilitato ad intervenire presso le autorità politiche americane perché la procedura diplomatica non lo prevede.

Il Ministro ha affermato che l'unica via da seguire è quella di incaricare nuovamente uno studio legale americano e inoltrare una istanza di riapertura del processo per la revisione dello stesso. Solo durante questa nuova e ulteriore azione forense, il Ministero potrà affiancare all'iniziativa il supporto del Consolato Italiano di Miami.

Questa, ha sottolineato il Ministro, è l'unica strada percorribile e non ci sono alternative.

Gianni Forti ha fatto notare che nei dodici anni ormai trascorsi dalla pronuncia del verdetto di condanna, sono stati fatti tutti i tentativi legali possibili per cercare di ottenere la revisione del processo, ma che le petizioni in appello sono state rifiutate senza motivazione e senza discussione.

La dott.ssa Bruzzone ha ribadito che la ricerca effettuata e riportata nella sua relazione è iniziata dopo che la Corte Federale americana, ultimo grado di giudizio consultato, ha rifiutato di prendere in considerazione il caso per scadenza dei termini. Un lavoro che ha comportato un notevole impiego di tempo ed energie, con l'unico obiettivo di dimostrare alle autorità italiane che un suo cittadino non ha avuto un giusto processo all'estero.

Il Ministro Nisio ha ribadito che purtroppo il report non ha alcun valore tecnico a livello istituzionale e che quindi non può essere protocollato dal Ministero. Pur comprendendo e condividendo tutte le ragioni in esso contenute, un'azione diplomatica basata sullo stesso non avrebbe alcuna possibilità di successo oltre che essere considerata un'interferenza negli affari interni di un altro Paese.

Pertanto l'unica possibilità rimane solo quella di riprendere dall'inizio il percorso forense.

Gianni Forti, ringraziando il Ministro Nisio per la sua disponibilità e attenzione, ha ricordato che la famiglia non è più in grado di affrontare le esorbitanti spese legali che questo tipo di iter prevede, oltretutto senza alcuna garanzia di poter arrivare alla Corte Suprema non essendo in possesso di una motivazione scritta del rifiuto della revisione.

Inoltre ha fatto presente che i tempi per intraprendere questa nuova iniziativa legale sarebbero inevitabilmente lunghissimi, traducendosi in altri anni di angosciosa attesa non più sopportabile sia psicologicamente che fisicamente da Enrico Forti.

La famiglia poneva molte speranze su questo incontro ormai atteso da anni, anche perché il precedente Ministro degli Esteri Franco Frattini, aveva scritto chiaramente sul suo “Diario Quotidiano” quanto segue: “L'unica possibilità che abbiamo - e che suggerisco anche a voi amici e supporter di Chico Forti – è quella di verificare se sussistano nuovi elementi a discarico non emersi e non considerati nella fase del giudizio, elementi che potranno riaprire il caso, valutare nuove prove ed accertare la sua responsabilità o meno. Un Ministro degli Esteri non deve smettere mai di dare speranze a un suo connazionale, e io ho anche la certezza e la prova che la Farnesina e la sua rete non hanno mai smesso di seguire e lavorare per la causa di Chico” (6 ottobre 2011).

Il report della dott.ssa Bruzzone ha seguito esattamente il suggerimento del Ministro Frattini.

“Ora Lei, dott. Nisio – ha detto Gianni Forti – ci dice che le cose non stanno così. Che il rapporto preparato non può essere protocollato dal Ministero perché non ha alcun valore diplomatico. Che bisogna intraprendere una nuova azione legale e solo in quella fase il Ministero può fornire il suo apporto. Forse non abbiamo compreso perfettamente il suggerimento del Ministro Frattini oppure le cose sono cambiate nel frattempo”.

In pratica il Ministro Nisio ha detto che la famiglia deve provvedere ancora autonomamente al prosieguo della causa presso le istituzioni americane, avvalendosi nuovamente di legali americani, nonostante le cocenti delusioni finora patite, correndo quindi il rischio di ritrovarci di nuovo al punto di partenza.

Gianni Forti ha ringraziato ancora una volta il Ministro Nisio promettendo di seguire nel limite del possibile i suoi suggerimenti, anche se la famiglia non vede come può farcela da sola. Sperando, ovviamente, che quando si arriverà (e se si arriverà) al “dunque”, un altro Ministro, che certamente sarà subentrato nel frattempo data la lunghezza dei tempi, non ci dica che bisogna agire in una maniera ancora diversa perché nel frattempo la procedura è cambiata.

La famiglia, forse ingenuamente, si aspettava un risultato un po' diverso da questo incontro nel quale aveva riposto tante speranze, se non altro per mantenere viva la piccola fiammella di speranza che farebbe sopravvivere Chico Forti in attesa del giorno in cui gli verrà concessa la possibilità di dimostrare la sua innocenza.




IL NON SERVIZIO PER GLI ITALIANIA ALL'ESTERO | LETTERA APERTA GIUGNO 2012
Istituzionalmente in Italia c'è un ufficio tecnico per ogni problema dei cittadini. Anzi pare che ci siano più uffici che problemi, anche se il vero problema è quello di arrivare all'ufficio che dovrebbe aiutarti a risolverlo.

Naturalmente c'è anche l'ufficio che si occupa degli italiani all'estero, che opera all'interno del Ministero degli Esteri.

Il problema che si vorrebbe portare all'attenzione del direttore di questo ufficio è grosso: si tratta di perorare la causa di un italiano ingiustamente recluso negli Stati Uniti, condannato a rimanere in carcere per tutta la vita nonostante si possa dimostrare la sua innocenza se solo se ne avesse la possibilità.

E' imprigionato ormai da dodici anni e tutte le petizioni di appello per la revisione del processo sono state respinte sena motivazione. La giustizia americana ha chiuso definitivamente il caso e non ha la minima intenzione di riaprirlo.

Grazie all'interessamento di un amico senatore, la famiglia riesce ad arrivare al cospetto del direttore del Dipartimento Servizi agli Italiani all'Estero, accompagnata dai legali italiani del recluso.

L'ufficio è ordinato, moderatamente lussuoso, l'ospite squisito, il segretario efficiente, Lui ascolta attentamente, prende nota mentalmente, assicura che il suo ufficio porrà la massima attenzione al problema.

Sul tavolo ci sono i documenti che comprovano l'ingiusto processo e l'ingiusta condanna dell'italiano.

Il direttore si dichiara personalmente molto dispiaciuto, ma purtroppo il suo Dipartimento non può intervenire nella questione perché diplomaticamente sarebbe considerata un'interferenza negli affari di un altro Paese.

Ogni protesta sarebbe inevitabilmente rimandata al mittente con disprezzo.

Bisogna ritornare negli Stati Uniti e rivolgersi ad uno studio legale abilitato che inoltri un'altra istanza di revisione. Il nuovo iter può comportare altri anni di angosciosa attesa e comportare spese enormi non più sopportabili dalla famiglia.

La situazione è chiara, le difficoltà sono gigantesche ma non c'è alternativa, questa è l'unica strada da seguire. Il Ministero seguirà con attenzione il nuovo percorso forense, ma il suo apporto potrà essere solo esterno. Non può essere coinvolto direttamente.

I documenti restano sul tavolo. L'impressione della famiglia e dei legali è quella di aver sbagliato ufficio. Forse non è il “Servizio italiani all'Estero”.

Come fai a capire se sei di fronte a un ufficio reale o di rappresentanza?

Quello dell'ufficio di rappresentanza non lascia nessuna traccia concreta dell'incontro. Non ti dà un appuntamento per approfondire e sviscerare il problema, non ti dà neanche il cellulare del segretario efficiente, non ti indica se ci sono altre persone precise a cui rivolgerti.

Perché si agisce così?

Semplicemene perché si segue la regola aurea del politico, molto partecipe ai casi di risonanza mondiale, tipo il sequestro dei “marò” in India, ma dimentica quelli che possono creare soltanto grane burocratiche fastidiose. Anche se si tratta di un caso umanitario.

Lo schermo diplomatico è una buona scusa per rendersi irreperibili, a meno che non ci sia un ritorno mediatico.

Alla faccia del Servizio agli Italiani all'Estero!



Per un intervento dello Stato in difesa di Enrico "Chico" Forti
Chi è Chico Forti? Chico Forti è un nostro connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami condannato all’ergastolo, accusato di un omicidio che non ha commesso. È stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario (senza prove!) e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale.
Senza voler rifare qui il processo, il particolare è importante, poiché proprio l'apparente assenza di movente, unito anche al fatto che la stessa accusa riconosce che Forti non può aver ucciso materialmente, in qualsiasi Stato moderno ove vigono principi di civiltà giuridica, si impone un accertamento ancora più rigoroso delle prove a carico dell'accusato.
Questo accertamento pare invece essersi limitato alla bugia detta dal Forti nell'immediatezza della sua convocazione avanti gli organi di Polizia giudiziaria nel negare di aver conosciuto e incontrato il soggetto poi deceduto e ritrovato morto il giorno dopo detto incontro.
Se, a mente fredda, la circostanza della bugia può apparire strana o non giustificare del tutto il comportamento del Forti (non è questo il luogo per cercare di spiegare in base a quale pressione psicologica e quale particolare situazione si sia trovato il Forti presso la stazione di Polizia giudiziaria in cui è stato interrogato), certo è che, sulla base di solo detto elemento, in qualsiasi altro Paese moderno il processo non sarebbe probabilmente arrivato nemmeno alla fase dibattimentale.
Altra anomalia del processo è che risulta un conflitto di interessi, giuridicamente sanzionato dallo Stato della Florida, secondo cui il legale di Forti aveva contemporaneamente assunto l'incarico di Pubblico Ministero in altro processo, rappresentando dunque lo Stato della Florida. Ciò non è possibile, a meno che l'assistito non dia esplicito assenso scritto al difensore. Il legale sostiene che detto assenso scritto ci fu, ma l'originale di detta scrittura non risulta sia mai stato esibito in processo.
Un'ulteriore, ancor più grave, anomalia è quella secondo cui Forti, da quasi dodici anni (la condanna all'ergastolo è stata sanzionata ormai nel 2000), impegnato in plurimi tentativi di appello, rifacimento del processo e quant'altro, gli è stata sempre negata la possibilità di dimostrare la sua innocenza addirittura senza obbligo di motivazione.
In tutti gli Stati moderni, e senza dover scomodare la Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, l'imputato ha diritto, se non a tre, ad almeno due gradi di giudizio. Non solo, ma ha altresì diritto a che il diniego sia giudicato da un giudice superiore in grado del precedente (così traducendosi il diniego finora dato con una sostanziale conferma della condanna di primo grado) e risulti motivato in fatto ed in diritto, non potendo lasciare al semplice arbitrio di chi amministra la giustizia potersi limitare ad un semplice no al rifacimento del processo o al riesame dello stesso, non specificando i motivi per cui le osservazioni, i ragionamenti e le argomentazioni portate dalla difesa dell'imputato siano state non solo ritenute infondate, ma (si sospetta) addirittura nemmeno esaminate.
Inoltre, ad Enrico Forti furono anche negati i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna. Infatti i Paesi firmatari di questa convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio. E' prevista anche l'automatica e simultanea comunicazione alle Autorità Consolari del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano, invece, venne a conoscenza del fatto, in modo casuale, soltanto nove giorni dopo il primo arresto di Chico Forti.
Queste sono, succintamente, le maggiori anomalie che ci fanno ritenere, nel caso di Chico Forti, essere stato lo stesso privato dei principi fondamentali di difesa e di civiltà giuridica, specialmente in uno Stato facente parte di una Federazione quale quella degli Stati Uniti ove l'individuo è posto al centro della comunità e ove le sue libertà inviolabili (almeno a parole) dovrebbero essere fortemente tutelate.
Non appare fuori di luogo ricordare il famoso principio di cui tanto si riempiono la bocca le Corti americane del non poter condannare alcuno senza prima aver fugato "ogni ragionevole dubbio" sulla propria innocenza o estraneità ai fatti.
Ogni grado di giudizio superiore e’ stato negato a Forti e cosa molto importante senza nessuna spiegazione, in modo tale che senza questa giustificazione non si possa chiedere nessun appello!
Chico Forti non chiede pietà, non chiede nessuna grazia, chiede solo che possa essere giudicato sulla base dei fatti, sulla base di prove, in poche parole vuole solo avere un processo giusto.
Inutile dire che Chico Forti in questi 12 anni ha perso tutto, la famiglia, i suoi tre amati figli, tutti i suoi averi per pagare le ingenti spese di avvocati.
Soprattutto , però, Chico Forti ha perso la sua libertà, ha perso la sua vita in base a un processo che viene ritenuto totalmente irregolare.Per tutto questo noi amici di Chico e membri del gruppo a sostegno di Chico su Facebook (ormai molte decine di migliaia), chiediamo allo Stato italiano che, dopo dodici anni di totale indifferenza, inoltri un forte intervento presso la Casa Bianca, affinchè questo nostro connazionale possa venire giudicato con tutto il rispetto della legge.Per concludere, la richiesta della revisione del processo di Chico Forti è basata su un’ampia documentazione probatoria che può dimostrare la sua totale innocenza. Siamo fiduciosi che lo Stato italiano appoggi, come dovrebbe e come avrebbe dovuto fare in questi dieci anni, la causa di questo suo “figlio”, e diciamo figlio non a caso, dato che ogni nostro
connazionale dovrebbe essere difeso come tale dallo Stato italiano. Si dimostri all’Italia intera che un cittadino italiano può contare sull’appoggio del proprio Stato quando rimane vittima di una grave ingiustizia all’estero.

Dal sito ChicoForti.com

Enrico “Chico” Forti, dopo un processo di ventiquattro giorni, il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”.

La sentenza ha lasciato esterrefatti quanti avevano seguito il dibattimento processuale, increduli che una giuria abbia potuto emettere, “oltre ogni ragionevole dubbio”, un verdetto di colpevolezza sulla base di così flebili e confuse prove circostanziali. Attente verifiche e valutazioni, sulla fondatezza di quest'e "prove circostanziali", produssero una tale quantità di dubbi che il sospetto che i fatti siano andati in modo completamente diverso da come sono stati presentati dall’accusa è divenuto certezza.

Valutando meticolosamente una per una tutte le accuse basate su fatti ed antefatti, si è scoperta una serie infinita di brogli e manomissioni, mezzi usati dall’accusa con il preciso scopo di ottenere un verdetto di condanna: deciso in largo anticipo.
L'imprenditore italiano di Trento, Enrico Forti detto “Chico”, dopo un processo durato venticinque giorni, il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”.
La sentenza ha lasciato esterrefatti i presenti e quanti avevano seguito il dibattimento processuale, increduli che una giuria abbia potuto emettere “oltre ogni ragionevole dubbio”, un verdetto di colpevolezza basato soltanto su flebili e confuse prove circostanziali.
Successivamente, attente verifiche e valutazioni sulla fondatezza di queste “prove circostanziali”, produssero una tale quantità di dubbi che il sospetto che i fatti siano andati in modo completamente diverso da come sono stati presentati dall'accusa, è divenuto certezza.
Valutando meticolosamente una per tutte le accuse basate su fatti ed antefatti, si scoprì una serie infinita di manomissioni delle “prove circostanziali” da parte dell'accusa, con l'unico scopo di ottenere un verdetto di condanna.

GLI ANTEFATTI :
Enrico Forti detto “Chico” nasce a Trento nel 1959 dove vive fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978. In seguito si trasferisce a Bologna per frequentare l'Isef, l'università di educazione fisica.

Fisicamente dotato, si dedica alla pratica di parecchi sport, dedicandosi in particolare al “windsurf” e negli anni '80 ottiene molti successi a livello mondiale.
Negli anni '90 si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di film-maker e presentatore televisivo.
In seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce un personaggio di nome Anthony Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna.
Quest'albergo aveva goduto di una certa notorietà negli anni '80, frequentato da parecchi personaggi del jet-set internazionale, ma in seguito ebbe un declino fallimentare.
Alla fine del 1997, Anthony Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti.
I due erano stati “compagnoni” ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore.
Solo in seguito, a cose fatte, si scopriranno i veri profili di questi due personaggi.
In primo luogo, Pike in quel periodo si trovava in estreme difficoltà finanziarie.
Knott era un “intrallazzatore” condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami (ospite di altri tedeschi) a Williams Island, dove svolgeva sotto falsi documenti (procuratigli da Pike) un'attività di copertura come “istruttore di tennis”.
In realtà continuava la sua “professione” di truffatore (25 accuse in poco più di sei mesi!) e l'ultima fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno.
Durante questa trattativa, compare sulla scena Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre e probabilmente anche con Thomas Knott, suo ex compagno di baldorie.
Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro.
Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria, e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna.
Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale.
Il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998.
Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue.
Alcune e-mail di Dale Pike alla fidanzata Vaike Neeme, una “ragazza copertina”. L'ultima è del 14 febbraio 1998 (il giorno prima della partenza per Miami). In questa lettera Dale si dice ansioso di conoscere Chico, “il nuovo proprietario” dell'hotel di suo padre, che è anche un produttore cinematografico. Scrive “di avere con sé un progetto per fare un film e di volerglielo presentare”. Dale si augurava che Forti lo aiutasse a realizzare questo film.
Due giorni prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo 18 febbraio.
Suo figlio Dale invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua.
Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto, quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e avrebbe trascorso alcuni giorni con loro, in attesa dell'arrivo del padre.
Forti quindi gli diede un passaggio fino al luogo indicato da Dale e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica.
Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezzora.
Il giorno 16 febbraio un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato.
Era stato “giustiziato” con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti.
C'erano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione.
La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti.
Fu provato che Enrico Forti alle ore 20 si trovava all'aeroporto di Fort Lauderdale.
Al processo infatti venne accusato e condannato come “mandante” dell'omicidio.

L'INGANNO:
Le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami.

Nei giorni che seguirono i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike.
Fu soltanto mercoledì 18 a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio.
Saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti.
Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York.
Anthony Pike invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente.
Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike.
La sera del 20 febbraio, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima. Ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia di un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia.
Invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key.
Questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire soggiogato dalla paura e dalla disperazione. Una tecnica forse legittima ed ammissibile, secondo il sistema americano, ma ottenuta proditoriamente con l'inganno.

LE INVENZIONI DELL'ACCUSA :
Nell’immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d’incapace e concorso in omicidio.

La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d’incapace.
Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato infatti scagionato da tutti i capi d'accusa (otto) che riguardavano la frode.
Scorrettamente invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio.
Riportiamo la traduzione letterale del testo introduttivo della teoria dello stato sulla quale il PM ha fondato le sue accuse.
“La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e lo condusse alla morte”.
Non c’è una sola parola di verità in queste affermazioni.
Non è vero che Dale Pike, la vittima, costituiva un ostacolo per i piani di Forti di acquistare l’albergo. Non ne aveva alcun potere.
Non è vero che il padre, l’albergatore Tony Pike, era un vecchio malato e disabile, incapace di intendere e volere. Tutt’altro. A suo tempo, molte testimonianze lo consideravano un astuto e sveglio uomo d’affari. D’altronde al processo non è stato presentato alcun documento che comprovasse la sua presunta demenza, né da parte di un tribunale, né di una qualsiasi commissione medica.
Non è vero che Enrico Forti volesse appropriarsi in maniera fraudolenta del 100% dell’hotel. Anzi si è scoperto che l’albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, dicendo chiaramente che intendeva rifilare a Chico un “elefante bianco”.
Ma l’accusatore l’ha tenuto nascosto alla giuria.
Non è vero che Dale aveva viaggiato a Miami “per vedere il denaro contante”, quattro-cinque milioni di dollari, che il Forti avrebbe dovuto pagare. L’accordo di compravendita prevedeva il pagamento nell’arco di tempo di sei mesi, parte in contanti, parte in permuta di due appartamenti e parte con l’assunzione dei debiti dell’albergo con le banche. La supervalutazione di quattro-cinque milioni di dollari del valore dell’albergo è una stima del tutto inventata. A tutt’oggi il suo valore reale è meno di un terzo.
Come si vede, alla base di tutte le accuse, viene evidenziato il movente della truffa.
Invece è vero esattamente il contrario. L’albergatore tentava di vendere un albergo che da molto tempo non era più di sua proprietà.
Quindi Enrico Forti era il truffato e non il truffatore ed il movente era completamente inventato ed inesistente.

L'arringa dell'accusa
Giovedì, 15 giugno 2000, mezzogiorno circa.
Il pubblico ministero Reid Rubin ha appena terminato la sua sommatoria, guardando la giuria come se avesse presentato il suo “masterpiece”, un'opera d'arte.
E di un'opera d'arte si è trattato effettivamente, dal momento che è riuscito a costruire e portare avanti un processo senza alcun sostegno probatorio per avallare le sue accuse.
Certo Rubin non ha lasciato nulla all'improvvisazione, visto che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale.
Un record per i tribunali americani, visto che normalmente qualsiasi processo si è sempre esaurito entro sei mesi dalla sua istruttoria.
Certamente, questo enorme impiego di tempo e di denaro (dello Stato della Florida) deve aver significato molto per la sua carriera o per gli interessi del palazzo, se è riuscito ad ottenere facilmente una serie di rinvii, fino al completamento di questo suo capolavoro.
Indubbiamente, l'artista Reid Rubin ha avuto molti punti di favore per giungere alle sue conclusioni.
Innanzitutto ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile.
Tutto si può dire quando non si corre alcun rischio di essere smentiti!
Ma come è possibile che in un processo dove è in gioco la vita di una persona l'ultima parola competa all'accusa?
Semplice: il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere oppure non è chiamato al banco dei testimoni.
Ma chi era al corrente di questa regola? Sicuramente non Enrico Forti!
Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue “chances” proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento.
Logico quindi che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa.
A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c'è dubbio che Reid Rubin lo sia.
Ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola. E allora è normale chiedersi: ma perché concedere questo enorme vantaggio all'accusa e non si è provveduto ad evitare questa trappola per tempo?
Disarmante la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra: “Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!”.
Naturalmente, anche l'accusatore se ne è guardato bene dal chiamare Enrico Forti alla sbarra! Il suo disegno accusatorio era proprio fondato su questa possibilità: avere l'ultima parola per convincere una giuria che, come succede nella maggioranza dei casi, può anche essere stata non molto attenta durante il dibattimento.
Tardivamente, durante l'arringa del pubblico ministero, la difesa ha sollevato un'infinità di obiezioni, molte rifiutate, alcune accettate, ma con uguale effetto.
Il giudice, in quasi tutte le occasioni, ha invitato gli avvocati a sollevarle in appello, quell'appello che poi sarebbe stato sistematicamente rifiutato.

IL VERDETTO:
Dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa, la giuria popolare si è ritirata nella camera di consiglio.

Giovedì 15 giugno 2000, ore 16 circa. Solo poche ore sono bastate ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza.
Incredibile ed incomprensibile la decisione della Corte nel suo pronunciamento della abnorme pena inflitta, che riportiamo nella traduzione letterale:
“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale”!
La morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una “sensazione”!
In seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli posti per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti, senza motivazione né opinione.

DIRITTI NEGATI:
Ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo Speed Trial (processo veloce entro 20 giorni dall’arresto) per avvenuta scadenza dei termini di legge (6 mesi) dalla prima accusa all’arresto (20 mesi).
Il diritto allo Speed Trial gli è stato negato perché applicata la Regola Williams, cioè l’esistenza di una diretta connessione tra l’ottenimento di un illecito guadagno (truffa) e la consumazione dell’omicidio.
Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall’accusa di frode in un precedente processo.
La deposizione rilasciata da Enrico Forti come testimone, durante la quale ha detto la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai Diritti Miranda che prevedono l’assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine.
Questi diritti gli furono negati anche se al momento di questa deposizione, era già il principale indiziato per l’omicidio.
L’accusatore ha anche scorrettamente ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente La giuria così fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale.
In questo modo si è violata anche la regola Double Jeopardy secondo la quale, se un imputato è già stato assolto da un’accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo.
Ad Enrico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna. I Paesi firmatari di questa convenzione, garantiscono l’immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio. E’ prevista anche l’automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano venne a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali nove giorni dopo. Alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per “l’involontaria” omissione.



La lettera di Chico alla figlia Savannah ( 8 marzo 2001)

Mia cara Savannah,

oggi la biblioteca è chiusa ed approfitto dell’occasione per scriverti questa lettera.
Mi ricordo quando dicevi solamente “gnee gnee, goo, gaa” ed oggi hai 6 anni e puoi leggere e scrivere.
Mi ricordo una volta quando stavamo guardando il cielo e c’era una bella luna piena ed un grande aeroplano passava quasi toccando la luna. Allora io ti dissi: “Sai, dolcezza, che quell’aeroplano è più vicino a te che alla luna?” e tu mi dicesti: ”Ma papà, è proprio vicino alla luna!”.
Un’altra volta, una notte in cui io stavo guardando la TV sul divano, trasmettevano un vecchio film in bianco e nero. Tu non potevi dormire e sei venuta proprio vicino a me sul divano, sotto le coperte e dopo alcuni minuti mi hai chiesto: “ Papà, nei tempi passati le case e le macchine erano tutte bianche e nere?”.
Ora io sono qui lontano da te ed anche se il mio amore per te è più grande dell’universo, non posso essere con te!. Sono una persona innocente, ma ancora non mi lasciano stare con i miei bambini.
Loro lo chiamano il sistema della giustizia, io lo chiamo la più grande mancanza di giustizia.
Io so, mia piccola principessa, che ci sono un sacco di cose che non capisci ora, ma le capirai presto.
Spesso lascio correre la mia immaginazione e penso alla tua routine quotidiana.
Mi immagino che tu ti svegli, ma ancora addormentata alla mattina presto, guardi un po’ la TV; mi immagino che la mamma prepari la tua colazione, che tu giochi con Jenna e Francesco e cerchi di essere pronta per la scuola sotto la supervisione della mamma; qualche volta mi immagino che bisticci con lei perché non ti lascia indossare il tuo vestito o la tua T-shirt preferiti; ma dopo 5 minuti tutto è finito. A questo punto ti immagino sull’auto con le cinture di sicurezza allacciate, pronta per la tua corsa fino a scuola.
Da quello che la mamma mi ha detto, sembra una buona scuola e sono sicuro che avrai un sacco di amici là, poiché tu sei molto simile a tuo papà e a tua mamma in questo: attrai gli amici facilmente.
Alla fine della giornata scolastica mi immagino che la mamma venga a prenderti e qualche volta andiate alla spiaggia per giocare con la sabbia. So che a te e a Jenna manca molto la piscina, ma penso a quanto siete fortunate ad avere le spiagge e l’oceano più belli!.
La mamma mi ha detto che ti piace andare con gli scout e qualche volta vai a fare campeggio.
Chiedi alla mamma quando siamo andati a campeggiare insieme poco dopo esserci conosciuti nove anni fa. Lei aveva detto che non le piaceva fare campeggio, ma alla fine siamo riusciti ad accamparci sulla spiaggia per una notte. C’era molto vento e faceva freddo ed io, dopo aver montato la tenda, ho deciso di aggiungere alla base un vecchio pezzo di albero così da tenere ferma la tenda contro il vento
Bene, la mattina ci siamo svegliati e migliaia di piccoli insetti bianco/trasparenti ricoprivano noi, il tetto della tenda, i nostri vestiti, i capelli e i sacchi a pelo. Avevo scelto un ciocco di legno che era in effetti la casa di una grande famiglia di termiti e durante la notte avevano deciso di traslocare da noi. Avresti dovuto vedere la faccia della mamma quella mattina; era così spaventata che è immediatamente saltata nell’acqua fredda. Tu sai quanto la mamma abbia paura di un singolo piccolo insetto; pensa averne migliaia sopra di lei! Mi immagino che a volte troverai anche tu in casa qualche piccolo insetto. Bene, cerca di spingerlo fuori casa, perché non è necessario ucciderlo. Gli insetti hanno paura di noi perché noi siamo più grandi e perché, qualche volta, reagiamo in modo divertente come fa la mamma ed allora anche loro reagiscono in modo divertente!. A volte loro reagiscono in modo pauroso o cercano di proteggere sé stessi come fanno le persone!.
Quando avevo la tua età, trascorrevo molte ore a guardare alcune piccole colonie di formiche intorno ad un pezzo di “mollica” (la parte interna del pane, morbida e bianca).
Ero rimasto meravigliato di quanto peso, in confronto alla dimensione del loro corpo, le formiche potevano trasportare. Non importava quando grande fosse il pezzo di pane, loro lo avrebbero trasportato!.


Bene Savannah, mio amore, è un po’ come la tua situazione; hai un grosso peso da trasportare ora, perché il tuo papà non è lì per te, ma sono sicuro che sarai in grado di sopportarlo!
Tu hai la mamma che è così meravigliosa, e Jenna e Francesco, hai un “sacco di amore su di te”.
Tieni duro, piccola mia, prima o poi sarò lì per dirti quanto sono fiero di te e ti terrò tra le mie braccia, ti abbraccerò e ti bacerò. Cercherò di insegnarti quello che è giusto e ciò che è sbagliato, perché questo è ciò che fanno i genitori. Ti porterò a scuola e sarò là alla fine del giorno per prenderti ed andremo alla spiaggia insieme. Savannah, abbiamo bisogno l’uno dell’altra: io ho bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di me.
Quando pensi a me, cerca di non essere triste perché io non sono lì con te. Cerca di pensare alle cose belle che abbiamo fatto insieme e a quante molte altre ne faremo in futuro.
Sarò felice di sapere che quando penserai a me sorriderai e sarai orgogliosa di quanto il tuo papà ti vuole bene e di chi è il tuo papà!.
Mi trovo nel posto sbagliato a causa di una decisione sbagliata presa da persone incaricate di decidere della vita di altre persone. Un potere molto forte e pericoloso. Alcune volte mi domando se è giusto che altre persone decidano della vita di una famiglia; ma questa è la società nella quale viviamo e ci sono molti buoni aspetti che compensano ciò. Io non biasimo la nostra società per la mia sventura e non voglio che tu faccia questo. Spero solo che possiamo migliorare questo mondo e renderlo un luogo migliore. Non voglio che un altro papà sia portato via dalla sua famiglia. Lotterò per questo con tutte le mie forze. Spero che un giorno questo mondo sarà un mondo pronto a perdonare e non uno pronto a punire!. Leggi sbagliate erigono un muro tra noi, ma noi possiamo oltrepassarlo e girargli intorno con l’amore di padre e figlia.
Savannah, cerca di fare le cose giuste, sempre. Se sei in dubbio chiedi alla mamma che è una buona maestra e che è sempre disponibile per te, per insegnarti, per proteggerti e per amarti.
E la mamma ti aiuterà a risolvere le cose che non capisci. Ti dirà che le case erano a colori anche nei tempi andati e che l’aeroplano sembrava stesse toccando la luna perché gli oggetti all’orizzonte sembrano molto vicini l’uno con l’altro. Bene Savannah, io sono vicino all’orizzonte e se tu continui a guardare, prima o poi sarò là insieme al sorgere del sole che splende e ti riscalda. Nello stesso tempo ti vedo ogni giorno, bacio l’immagine del tuo viso trasportata dal vento hawaiano e dipinta dall’arcobaleno che fluttua sopra le case.
Voglio che tu sappia che qualche volta, anche se sei una brava persona, le cose brutte possono accadere. Anche quando tu fai ciò che è giusto, le cose possono andare per un verso storto. Ricorda di essere brava con la mamma e di essere carina e comprensiva con Jenna e Francesco. Cerca, se puoi, di tenere un piccolo posto nel tuo cuore per me.
Proprio ora sto lottando per la mia libertà, ma non sono solo.
Tutte le persone della mia città natale in Italia (ricordi quando eri solita andare a passeggio per la città con nonno Aldo e nonna Maria e la nonna era così fiera di te?), tutti quegli amici, persone che conosco e perfino persone che non conosco, stanno lottando con me e per me.
Questa è la mia speranza per la società, questo è ciò che mi fa credere in un mondo migliore.
Ma la cosa più importante è che sto lottando per poterti tenere di nuovo tra le mie braccia e dirti, mentre bacio il tuo nasino, che ti voglio bene, mia baby!.

Il tuo papà Chico

Chi ha incastrato Chico Forti?

Anche la rivista Vogue si occupa del caso di Chico Forti in questo articolo del 14 maggio 2012

19 Ottobre 2011 : la telefonata di Chico Forti

«Se non fossi innocente mai chiederei alla gente che amo di dedicare parte della loro vita alla mia battaglia.

Sono fiero di essere italiano e noi italiani siamo uomini d’onore. Se sbagliamo abbiamo il coraggio di sostenere le conseguenze senza trascinare nel fango familiari e amici.»
"....Per il momento "tengo duro" nonostante le enormi difficoltà e continuo a lottare a testa alta per dimostrare la mia innocenza e riavere la mia libertà.
Lo faccio per me, per i miei figli, i miei familiari e per tutti gli amici che continuano a lottare per me. "
(CHICO FORTI)

La bellissima lettera di Chico Forti alla mamma: «Mamma, insieme ce la faremo»

13 maggio 2012
10° LETTERA AGLI AMICI
DEDICATO ALLE “MIE” DONNE NEL GIORNO DELLA FESTA DELLA MAMMA

            Amo le donne, le amo per la loro sensibilità, per la loro dedizione, per la loro perspicacia, per la loro intuizione, per la loro combattività, per la loro territorialità e, per essere sincero, per la loro bellezza.
            Ogni donna è bella. Spero non lo abbia detto qualche poeta prima di me, a mia insaputa, preferisco essere originale. La vita di un uomo ruota intorno ad una donna come la terra intorno al sole. La donna è come la luce nel processo di fotosintesi, senza di lei non c'è vita. Per quanto forte e imponente ancora non esiste un uomo che possa partorire. Il meglio della vita di un uomo è dedicato alla felicità di una o più donne.
            Che sia nonna, mamma, zia, moglie, figlia, cugina, nipote o una semplice amica, la donna è il fulcro della leva umana.
            Il cosmo della mia tragedia è popolato per il 70% da donne.
            All'inizio è nato il comitato “Una Chance per Chico”, formato dagli amici più cari della mia gioventù. Ne è seguito il primo gruppo su FB dietro iniziativa di Alberto e l'energia di Andrea che rimangono bastioni di questa fortezza sociale.
            Di lì come un tornado in un villaggio di paglia siete subentrate voi donne. Nuovi gruppi, alle iniziative spontanee, migliaia di interventi, innumerevoli lettere e messaggi di supporto. Mi sono sentito come il cucciolo di una leonessa o meglio, di un gruppo di leonesse.
            Non voglio, né posso, fare nomi, perché l'idea di dimenticare di nominare anche solo una di voi mi romperebbe il cuore.
            Non è facile gestire un gruppo di migliaia di persone. Ditte importanti con centinaia di impiegati, lautamente retribuiti, ce la fanno a stento.
            Eppure voi donne vi siete trasformate in scudo, vi siete prese il posto dei soldati caduti al mio fianco. Autonomamente vi siete distribuite incarichi e oneri. Spesso dimenticando i vostri stessi problemi di salute, economici o affettivi che siano. Nonostante i travagli della vostra vita quotidiana comunque avete trovato tempo da dedicare alla mia causa. Tutto ciò mi riempie il cuore e a volte mi fa venire le lacrime agli occhi. Lacrime colme di felicità, non di tristezza! Spesso mi domando che cosa ho fatto per meritarmi tanto affetto, tanta solidarietà. Inevitabile, dentro di me, è un'altalena di sentimenti: dalla rabbia per ciò che ho subito e per tutto ciò che mi è stato tolto, alla gioia d'aver scoperto tante sostenitrici che, anche senza avermi conosciuto, hanno deciso di dedicarmi una piccola parte del loro cuore.
            Voglio darvi un breve aggiornamento su come prosegue la vita qui dentro. Cinque parole: SEMPRE SUL CHI VA LA'! Non si può mai abbassare la guardia.
            A proposito di guardie, quelle decenti le posso contare sulle dita di una mano! La maggior parte degli “aguzzini” trovano soddisfazione trasferendo le loro miserie quotidiane su di noi. Il loro lavoro dovrebbe consistere nel salvaguardare la nostra incolumità e nel prevenire e bloccare eventuali fughe. Sono mosche bianche coloro che hanno a cuore la riabilitazione dei reclusi.
            Dipendiamo dai “moods” (umori) delle loro giornate. Non hanno potuto comperarsi l'orologio di marca? Quindi, per ripicca, il giorno dopo scelgono uno a caso e gli fanno pulire la strada con lo spazzolino da denti. Pochi giorni fa un capitano che lavora il turno dalle 16 a mezzanotte (un ex giocatore di football del team Oakland Raiders, California), ha punito un detenuto per aver parlato nella mensa (aveva detto alla guardia che era finito il sale...). La punizione? Gli ha fatto gettare il vassoio, con esclusione del cucchiaio e bicchiere di plastica e poi lo ha obbligato a raccogliere l'acqua sporca nella pozzanghera antistante la mensa usando il cucchiaio, per poi trasferire il contenuto nel bicchiere che, una volta pieno, veniva svuotato.
“I'll tell you when to stop and if you look at me again with that face I'll spit in your mouth!” che tradotto: ”Te lo dico io quando smettere e se mi guardi con quell'espressione ancora una volta ti sputo in bocca!”
            Grande uomo, grande esempio come leader! Probabilmente tutte le botte ricevute alla testa 20 o 30 anni fa, gli hanno spappolato una parte del cervello. E poi grida sempre, anche quando non ne esiste motivo. Questo è solo il racconto di un piccolo aneddoto di vita quotidiana e non lo dedico certo alle mie fan!
            Dall'ultima lettera che vi ho scritto ci sono stati vari cambi di cella. Tutto fa parte del processo “rendiamo loro la vita impossibile creando tanto sconforto ed ostacolando il processo di adattamento”. Qui con me c'è anche un detenuto di 86 anni e anche lui riceve lo stesso trattamento, una vergogna! Eppure non possiamo fare nulla (tanto meno voi) perché per coloro che si ribellanop, anche solo vociferando il loro malcontento, la rappresaglia è implacabile.
            Io cerco di viaggiare sotto il radar. Purtroppo sono alto e mi ricordo una frase di mio padre: “Gli alberi più alti sono quelli che vengono tagliati per primi”.
            Se comunque mi venisse  proposto cucchiaio e bicchiere vicino alla pozzanghera, sappiate che mi troverete nel pozzo! Va bene eseguire gli ordini normali, ma accettare umiliazioni degradanti non è nel mio stile. La loro punizione, dopotutto, è autoinflitta. Solo una persona miseramente infelice può comportarsi così.
            Il rimedio più diffuso è la conversione alla religione, per la maggior parte cristiana. Un po' come al tempo di Nerone, senza leoni. E' il mezzo prescelto dai detenuti per cercare di riuscire a mantenere un minimo di dignità. Nella disperazione, quando si è perso tutto e più in basso di così non si può scendere... si è obbligati a guardare verso l'alto.
            Anche qui ci sono i sinceri e gli impostori. Quando entri in un gruppo di preghiera troverai sempre un'anima buona che ti darà qualcosa da mangiare, del dentifricio, del sapone, del deodorante. Qualcuno invece ne approfitterà sempre.
            Il rapporto con la religione è come quello con una fidanzata. Alti e bassi e tanti monologhi invece di battibecchi. Molti ricadono e tornano ad essere come, e peggio di prima.
            Ho avuto vari compagni di cella, più o meno decenti. Comunque devi condividere la cella/cuccia senza mancare o farsi mancare di rispetto! La sentenza media dei miei compagni di cella è il doppio ergastolo (“la doppietta”). Quello con cui ho vissuto più a lungo ed il migliore sotto ogni aspetto dopo “C” è Daniel Arroyo, detto Tito (da “Danielito”), quarantenne portoricano, doppietta, undici anni di prigione, otto anni in questo albergo.
            Un passato tremendo e da quattro anni conversione totale. Da quel giorno cioè in cui decise di togliersi la vita, perché schifato di se stesso. Ma una molla è scattata dentro il suo cuore e ha cominciato a piangere. Solo due giorni dopo, con un peso in meno sulla coscienza ed una nuova disposizione: “La mia vita l'ho bruciata, almeno posso tentare di salvare qualcun altro!”
            Ogni mattina, se la ricreazione è aperta, va ad ascoltare un gruppo di preghiera. Ogni pomeriggio predica la parola della Bibbia a un suo gruppo di fedeli, circa venti persone, per la maggior parte centroamericani.
            Nel mio piccolo lo aiuto, un piccolo contributo, qualche minestra liofilizzata, deodorante e sapone. Non è molto, però quel poco lo faccio con il cuore, non per imposizione. L'ho aiutato a scegliere il nome per il gruppo, visto che si raccolgono sotto l'unico albero dell'area di ricreazione sportiva: “Ministry under the tree” ovvero ministero sotto l'albero (che fantasia però?!).
            Lo scorso novembre mi è stato chiesto di lavorare per un nuovo programma di riabilitazione chiamato “Re-entry” (rientrata) e da allora mi ci sono dedicato a capofitto, anche grazie all'aiuto di Roberto Fodde (che ha fatto una donazione essenziale per la sopravvivenza del programma). Credo nell'utilità di preparare i detenuti, con pochi anni da scontare, al loro rientro in società. Alcuni di loro, reclusi da trent'anni, appartengono alla preistoria dei Gadgets Eleticon. Itengo lezioni a quattro classi, strutturandole e coordinandole. Insegno a leggere e scrivere, inglese, matematica e cultura generale. Questo mio progetto è stato approvato dall'amministrazione. Si tratta di dare un'infarinatura di geografia, storia, scienza, fisica, ecc. Cosicché una volta libero, l'ex detenuto sarà in grado di rispondere alle semplici ma inevitabili domande dei figli e nipoti.
“Perché il cielo è blu?”, “Perché la terra è rotonda?”, “Perché c'è pioggia, vento, neve?” o “Quanti sono i Continenti?” (la maggior parte dei centroamericani pensa siano cinque!). Domande che al momento non troverebbero risposta!
            Da circa due settimane sono stato trasferito nuovamente nel dormitorio Alfa (ricordate? Lo stesso di quando ero arrivato circa due anni fa). Hanno trasformato l'intero edificio in “Re-entry dormitory” (certo che anche loro in quanto a fantasia per i nomi...!). Siamo nell'area sud, quella di minima custodia. Quasi tutti i residenti sono Acca 1 e 2. Io sono una delle poche eccezioni, pur essendo Acca 4 (massima custodia). Ho ricevuto un permesso speciale per risiedere in questa zona.
            Ironico il fatto che, vedendomi da questo lato della recinzione, molti degli ex colleghi della zona nord sono convinti che presto sarò libero! Speriamo che questa loro convinzione serva d'auspicio!
            Come vi avevo spiegato tempo addietro, in questo dormitorio ci sono pro e contro.
            Non siamo chiusi in una cuccia senza ventilazione dodici ore al giorno. Abbiamo le finestre (ovviamente con sbarre) che ci permettono di vedere il mondo esterno limitrofo senza avere il coprifuoco “dell'oscurità”. Siamo vicini alla mensa per la colazione. Alle cinque di mattina è bello vedere le stelle e la luna! (queste ve le dedico!). Per lo stesso motivo vediamo tramontare il sole alla sera. Anche se d'estate, con il tramonto dopo le 20, il problema è inesistente. Al massimo alle 19 viene servito l'intero “compound” (per tutti i detenuti, sia sud che nord).
            Gli svantaggi sono i gabinetti e docce comuni. Il problema dello stupro rimane uno dei cancri principali delle prigioni americane. E' per questo che devi essere sempre attento e in forma fisica.  Se qualche osso duole o qualche legamento è fuori uso, non farlo sapere!
            E' come essere all'interno di una caserma militare.
            La notte, se uno russa o ha un attacco di flatulenza (non voglio usare la parola scorreggia...) lo sente l'intera camerata. Le risse non si limitano a due persone che risolvono il problema nella cuccia di nascosto dal controllo delle guardie come nel lato nord. Qui, di solito degenerano, subentrano gli amici degli amici; non è raro che coinvolgano una dozzina di aspiranti “benvenuti” (Nino, per coloro con meno di trentanni!). Lentamente mi sto riadattando, però non voglio farmi troppe illusioni perché si tratta di un permesso temporaneo. E, se il programma fallisce o la carrozza si trasforma in zucca un'altra volta... quindi cauto entusiasmo!
            Sono in un letto a castello e sopra di me c'è un cubano di nome Santos (accertato, non è di origine brasiliana!) che finisce di scontare la condanna l'anno prossimo. I cubani non subiscono la deportazione (per via di Castro...). Purtroppo gli italiani non possono avere le stesse agevolazioni prendendo come pretesto Berlusconi... Mi hanno detto che il mio ex primo ministro ha un grande senso dell'umorismo. Speriamo che sia così altrimenti fra tre secoli sarò ancora qui a scrivervi!!!          Santos, dicevo, conosce soltanto duecento parole d'inglese e gliele ho insegnate tutte io. So che non sembra una grande impresa però non sa leggere e scrivere neppure nella sua lingua madre!
            Gli “studenti” detenuti devono obbligatoriamente partecipare ad un minimo di scuola. E' meglio per loro scegliere un paio di lezioni poco impegnative perché l'apprendimento non è il loro target. Altrimenti vengono assegnate d'obbligo. Normalmente tutti “appartengono” ad un classificatore indipendentemente dall'ultimo numero della nostra scheda di identificazione. Il mio è il 5, quindi appartengo al gruppo #5. Ci sono solo sette classificatori/ici perché alcuni controllano due gruppi.
            Con la formazione di questo nuovo dormitorio è stato creato un nuovo gruppo: il numero 9.
            La mia precedente classificatrice adesso è anche responsabile di questo nuovo gruppo. Gestisce da sola oltre cinquecento detenuti e le loro pratiche burocratiche: visite, richieste, problemi, ecc. Un'enorme mole di lavoro! E' partita dalla gavetta come guardia quasi tre decadi fa.           Questa lettera è dedicata alle “mie” donne, quindi anche a lei! Non è una donna facile (comprensibile considerando l'ambiente lavorativo) ed è abituata a comandare, a dare ordini a tutti, compresi i suoi superiori. Ha tre regole fondamentali: 1) Ha sempre ragione; 2) Non ha mai torto; 3) Fare riferimento alle prime due. Nero su bianco. Queste regole sono appese sul muro dello stanzino che usiamo per preparare le lezioni. Mai dimenticarsene. I trasgressori vengono eliminati come Kleenex (trasferiti ad altri lavori più umili, s'intende!...).
            Lavorando nel programma, giorno dopo giorno, senza riposo, ho contribuito con consigli, alla strutturazione delle classi e alla stesura dei curriculum per le lezioni, raggiungendo a poco a poco una certa autonomia e maggiore responsabilità, evitando conflitti con le tre regole preposte.
            Dopo il trasloco di oltre cento detenuti, era necessario un discorso di orientamento. Chi più qualificato della nostra imperterrita “leader”?... Un discorso da duce ad un gruppo di criminali con la “C” maiuscola. Io, seduto tra i partecipanti, mi sono reso contro del nervosismo e malcontento che stava nascendo. Molti dei trasferiti avevano perso lavori privilegiati, anche al di là della recinzione, con compenso economico (legale o meno che fosse). Troppa tensione nell'aria, fino al culmine quando la “capa” ha detto loro: “So che molti di voi non vogliono essere parte di questo nuovo programma perché comporta troppi cambiamenti. Per questi ho un messaggio preciso: “Se rifiutate vi metto nel pozzo e vi tolgo tutto il “Gain Time” (giorni di riduzione della pena) accumulato!”.
            Per alcuni significava cinque anni di ulteriore incarcerazione e la reazione fu immediata e violenta! Nello stanzone c'erano solo lei e un'altra guardia, una ragazza di 25 anni. Di fronte a loro, un gruppo di detenuti esagitati e io mi sono spaventato ricordando un episodio di qualche mese prima (ero ancora nel dormitorio foxtrot, la lettera “F”) quando un apparentemente tranquillo sudamericano ha accoltellato più volte un americano di colore, uccidendolo. Il tutto era nato dalla mancata precedenza nell'uso della doccia. Tagli così profondi che nell'arco di pochi minuti, l'americano morì dissanguato. Una vita bruciata per una banale lite per una pseudo doccia dove l'acqua cade a gocce.
            Una situazione che mi ha fatto riflettere su quanto fragile sia la vita, specie qui dentro.
            Da quel giorno, ogni mattina ringrazio il Signore per avermi fatto svegliare incolume, e ogni notte prima di addormentarmi, mando un messaggio e un bacio virtuale ai miei figli, ai miei familiari e a tutti voi mie care amiche e amici
            Facevo la stessa cosa quando preparavo i miei bagagli prima di un volo aereo o il mio materiale per un'impresa rischiosa. Applicavo lo stesso principio: essere pronti a qualsiasi evenienza!
            Nei miei 40 anni di competizioni raramente ho pensato alla morte come conseguenza. Mi sentivo invulnerabile. Adesso, incarcerato, qualche volta nel sonno ricevo la visita di una tizia con cappa nera e falce. Per chi interpreta i sogni si tratta di un avvertimento. Per me è solo una poveraccia  con costume carnevalesco che, fuori stagione, va a disturbare i sogni della gente.
            Ritornando ai colleghi infuriati (con la “doccia” in mente), decisi di intervenire per mitigare il malcontento, dicendo loro: “Ascoltate, non ci sono solo i lati negativi, ma anche molto benefici...” e continuando per circa cinque minuti ho notato che gli animi si erano un po' calmati, eccetto però quello della mia “capa”, per nulla contenta della mia interferenza, anche se a buon fine. Ero sì riuscito a eliminare la tensione ma allo stesso tempo avevo rotto le regole, l'avevo cioè esautorata dicendo ai miei colleghi che le sue frasi non erano del tutto “negative”.
            Dopo aver congedato il gruppo, la “donna coi pantaloni” mi prese da parte e mi disse: “Faccio questo lavoro da sempre e nessuno ha mai osato contrariarmi. Il tuo comportamento è stato inaccettabile. Sei sospeso per cinque giorni!”. Ho preso così, per la prima volta in sei mesi, qualche giorno di “vacanza”. Adesso sono tornato a lavorare con un po' meno fervore e meno entusiasmo. Mi sono reso conto ancora una volta che non vale la pena di cercare di essere d'aiuto come è nel mio carattere. Il modo di vedere di questa gente è ristretto, programmato e ripetitivo ed è vietato variare.
            Il motto del posto è “a good deed never goes unpunished” (un “fioretto” non rimane impunito).
             Ne ho avuto un'altra riprova qualche giorno dopo. René, un mio collaboratore della “facility” che insegna con me matematica (se ne va a casa in ottobre) questo venerdì decise di fare una sorpresa alla nostra “duce”. Raccolse gli esami di valutazione espletati nel pomeriggio e, senza dirle nulla, decise di correggerli durante il fine settimana nel suo “tempo libero” nel dormitorio. Gli ho detto: “René, ho un cattivo presentimento. Non credo che lo apprezzerà per il solo fatto che non ti ha dato l'autorizzazione. Non credo capirà il tuo bel gesto”. E infatti il lunedì successivo, al nostro rientro, venuta al corrente del fatto, la “capa” ha dismesso dall'incarico René in malo modo e gli ha cambiato il lavoro! Alla faccia dell'incredibile motto... rimango positivo. “Anche questa passerà!”, “Vattene tristezza!” (com'era la canzone? “Tristezza, per favore va' via...”).
            Vi svelo un segreto: non ho mai presenziato ad un funerale! Quando è morta mia nonna paterna (la mamma di mio papà e di mio zio Gianni) ero in Sicilia. Quando è morto mio padre ero in una prigione di massima sicurezza delle Everglades.
            Quanto amo la vita! Una parentesi rosa è di rito. Sono pochi a sapere che i miei tre figli sono nati senza assistenza medica. La prima volta successe involontariamente con Savannah Sky. Ci fu un disguido nel calcolo delle contrazioni. Risultato: Savannah è nata nel bagno di casa, così velocemente che le sue vie respiratorie erano bloccate dal liquido amniotico e dai vari fluidi di percorso. Ovviamente andai in grande panico, e nonostante fossi ignorante della prassi post-nascita, decisi improvvisando, d'aspirare i fluidi accumulati coprendole naso e bocca con la mia bocca. Ho aspirato un bel po' di liquido senza danneggiarle i polmoni (come succede se lo si fa troppo violentemente). Dopo aver ripetuto l'operazione un paio di volte il viso di Savannah da cianotico ed inerme si trasformò, riprese colore e cominciò a piangere: bellissima! Il pianto e gli strilli più preziosi della mia vita. Savannah adesso ha 17 anni, anche lei donna, e anche a lei è dedicata questa lettera.
            Due anni dopo è stata la volta di Jenna Bleu. In questa occasione ci recammo all'ospedale viste le pressioni del nostro medico: “Pensate alle possibili complicazioni” ripeteva.
            A sorpresa una nostra vicina ebrea ci prenotò la stessa stanza usata da Gloria Estefan (forse con l'augurio di avere una bambina musicista) all'ospedale Mount Sinai, prediletto dalla comunità ebraica di Miami.         
            Nonostante le buone intenzioni, nel momento cruciale decidemmo di ripetere l'exploit di Savannah. Chiesi all'infermiera di turno che ci vigilava severamente (per via dei precedenti), di farci avere un paio di asciugamani che sapevo essere situati al piano inferiore. Al suo ritorno Jenna Bleu con le labbra protuse le diede il benvenuto... a squarciagola.
            Anche lei nata super velocemente e, cosa molto rara, ancora con il sacco amniotico intatto, quasi fosse impacchettata in un sottilissimo materiale monofilm. Ho scoperto successivamente che sia nelle tribù dell'Amazzonia che nell'interno dell'America è considerato un segno di distinzione, per riconoscere il futuro “Medicine man/woman” (stregone) del villaggio. Anche a lei, adesso quindicenne, dedico questa mia.
            Due anni dopo, Francesco Luce! Ormai al bando ospedali e medici liocali, decidemmo di rimanere a casa con l'aiuto di una levatrice per eventuali complicazioni e, ancora una volta, niente monitor, niente flebo, guanti freddi o mani sconosciute. All'arrivo di Francesco, Savannah e Jenna erano a bocca aperta appoggiate allo stipite della porta della camera da letto, la levatrice in cucina a mangiarsi un panino al prosciutto di Parma (!). Si rivelò comunque di grande aiuto perché Francesco aveva il cordone ombelicale attorno al collo e poi, invece della mia spartana tecnica d'aspirazione, mi diede una dimostrazione della cannula nel naso, mentre lo tenevo  per i piedi a testa in giù. Stesso risultato, minimo rischio.
            Morale della storia, i miei tre figli, come tutti i buoni prodotti italiani, sono “fatti in casa” con una mia piccola partecipazione e ovviamente con la parte di leonessa di mamma Heather. Pur essendomi inevitabilmente separato, rimango con lei in buoni rapporti. Heather si è rifatta una vita mantenendo però la mia posizione di padre nella vita dei miei figli. Per questo le sarò sempre riconoscente. Questa lettera è dedicata anche a lei come madre e come donna!
            Ecco, vi ho trasportato da un lato all'altro del pianeta Chico, senza ordine cronologico.
            Avevo da recuperare dopo tanto silenzio. Ancora una volta un caloroso grazie a voi, “mie” meravigliose donne. Grazie per essere le mie leonesse!
            Per concludere in questa giornata della mamma, un saluto a tutte le mamme, inclusa la mia, la roccia della mia vita, un esempio di dignità umana. Questa lettera è dedicata anche a lei per avermi creato, per avermi forgiato nell'uomo che sono, per avermi insegnato a tenere la testa alta e ad essere forte anche nelle situazioni impossibili!
            Insieme ce la faremo, ne sono certo!
            Alla prossima, un caldo abbraccio.
            Chico